Hyperion
Musica di Bruno Maderna
Regia Claudia Sorace
drammaturgia musicale Riccardo Fazi
performer Jonathan Schatz
flauto Karyn de Fleyt
soprano Valerie Vervoort, Hanne Roos
arrangiamenti musicali e live electronics Juan Parra Cancino
aiuto regia e cinetica di scena Chiara Caimmi
direzione tecnica e video Maria Elena Fusacchia
consulenza al progetto Alessandro Taverna
consulenza etica ed estetica Daniel Blanga Gubbay
supporto alle ricerche Brent Wetters
luci Roberto Cafaggini
costumi Jonne Sikkema
foto di scena Luigi Angelucci, Filip Van Roe
organizzazione Agnese Nepa
Produzione Sagra Musicale Malatestiana, RomaEuropa Festival, Muta Imago 2015
in collaborazione con Hermes Ensemble – Antwerp, Muziektheater Transparant – Antwerp, Kunstencentrum Vooruit – Gent, Orpheus Instituut – Gent, Santarcangelo International Festival of the Arts 2015, AMAT Marche, L’Arboreto Teatro Dimora di Mondaino, Rialto Sant’Ambrogio, Carrozzerie N.O.T.- Roma
con il sostegno di Mibact – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali – Direzione Generale Spettacolo
in collaborazione con Hermes Ensemble – Antwerp, Muziektheater Transparant – Antwerp, Kunstencentrum Vooruit – Gent, Orpheus Instituut – Gent, Santarcangelo International Festival of the Arts 2015, AMAT Marche, L’Arboreto Teatro Dimora di Mondaino, Rialto Sant’Ambrogio, Carrozzerie N.O.T.- Roma
con il sostegno di Mibact – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali – Direzione Generale Spettacolo
Hyperion non è una composizione per il teatro, non è un’opera: è una lirica che Maderna lancia come una sfida, affinché venga messa “in forma di spettacolo”. E’ un mosaico di opere sparse, correlate tra loro soltanto dall’ ispirazione primigenia legata all’ Hyperion di Holderlin, al tema della lotta tra l’individuo e la società, tra il desiderio e la nostalgia. Un mosaico che Maderna stesso non poteva fare a meno di ricomporre ad ogni occasione di presentazione del lavoro, che fosse in forma scenica o in versione da concerto, dando così forma alle numerose versioni dell’opera che sono arrivate fino a noi.
Consapevoli di questa natura complessa, ci siamo messi in ascolto del materiale e abbiamo cercato quale fosse per noi il cuore pulsante di questo lavoro, la domanda fondamentale che esso solleva, il mito che si nasconde dietro di questa.
Qual’è il posto dell’uomo nel mondo?
Questa, per noi, è la domanda.
Consapevoli di questa natura complessa, ci siamo messi in ascolto del materiale e abbiamo cercato quale fosse per noi il cuore pulsante di questo lavoro, la domanda fondamentale che esso solleva, il mito che si nasconde dietro di questa.
Qual’è il posto dell’uomo nel mondo?
Questa, per noi, è la domanda.
Hyperion in greco significa “colui che sta in alto”. Nel nome stesso di questa figura è contenuto il concetto di altezza, di verticalità. Un uomo il cui destino è quello di desiderare costantemente il punto più alto della vetta, costretto ad abitare un luogo sospeso tra l’alto e il basso, tra il passato e il futuro, tra il reale e l’ideale.
Il giovane Hyperion è condannato alla sola dimensione verticale, strangolato dall’ansia di non riuscire mai ad ottenere in pieno quello che desidera dalla vita. Un eterno insoddisfatto, un eterno cercatore, il musicista mai sazio di Maderna, che prende questa figura dal testo di Holderlin e la elabora come se fosse un nuovo mito, forse il mito dell’artista stesso.
Il presente per Hyperion non esiste, è negato in nome del continuo desiderio di crescita e cambiamento. Esistono solo il passato e il futuro, le due facce di una stessa chimera inafferrabile che ottenebra l’orizzonte reale delle cose. La realtà, così, non è mai letta per quello che è, ma sempre distorta dalla lente dell’utopia: c’è sempre una lettura che Hyperion sovrappone tra sé e il mondo intorno a lui, per questo non riesce mai a vedere veramente quello che lo circonda.
Da qui la sua sofferenza, da qui il suo costante cercare.
Hyperion salta, cerca, si dimena, poi crolla e cade. L’eco dei suoi fallimenti lo lascia annichilito per qualche tempo, fino al tentativo successivo. Non c’è pace per questo essere fragile ed esaltato, che sembra non avere idea di cosa significhi stare al mondo, cosa significhi esistere.
Condannato ad un’eterna insoddisfazione nei confronti del proprio presente è spinto in continuazione a confrontarsi con sfide più grandi di lui, a inseguire distanze talmente elevate da risultare irraggiungibili. Per questo ogni suo tentativo è destinato al fallimento, per questo ogni suo slancio non può che terminare con una caduta. Ma è proprio questa la lezione di Hyperion, attraverso l’accettazione del fallimento, attraverso la consapevolezza del nostro essere caduchi, finiamo per scoprire davvero quello che siamo: esseri umani, innanzitutto, prima che dei, rivoluzionari o sognatori.
La ricerca di Hyperion è solitaria, avviene in luoghi remoti, lontani dalla frequentazione di altri esseri umani. Senza pace, senza respiro, in solitudine, la sua inchiesta riesce alla fine ad attraversare la parte più profonda della sua persona, a ricomporre i pezzi rimasti qui e lì, che sembravano non riuscire più ad aggregarsi.
Ma come nel canto del destino di Holderlin, la tregua non significa pace: accettare la caducità che ci è propria non vuol dire trovare riposo nella consapevolezza; significa allenarsi a cadere per potersi poi rialzare, per potere poi ricadere di nuovo.
Il giovane Hyperion è condannato alla sola dimensione verticale, strangolato dall’ansia di non riuscire mai ad ottenere in pieno quello che desidera dalla vita. Un eterno insoddisfatto, un eterno cercatore, il musicista mai sazio di Maderna, che prende questa figura dal testo di Holderlin e la elabora come se fosse un nuovo mito, forse il mito dell’artista stesso.
Il presente per Hyperion non esiste, è negato in nome del continuo desiderio di crescita e cambiamento. Esistono solo il passato e il futuro, le due facce di una stessa chimera inafferrabile che ottenebra l’orizzonte reale delle cose. La realtà, così, non è mai letta per quello che è, ma sempre distorta dalla lente dell’utopia: c’è sempre una lettura che Hyperion sovrappone tra sé e il mondo intorno a lui, per questo non riesce mai a vedere veramente quello che lo circonda.
Da qui la sua sofferenza, da qui il suo costante cercare.
Hyperion salta, cerca, si dimena, poi crolla e cade. L’eco dei suoi fallimenti lo lascia annichilito per qualche tempo, fino al tentativo successivo. Non c’è pace per questo essere fragile ed esaltato, che sembra non avere idea di cosa significhi stare al mondo, cosa significhi esistere.
Condannato ad un’eterna insoddisfazione nei confronti del proprio presente è spinto in continuazione a confrontarsi con sfide più grandi di lui, a inseguire distanze talmente elevate da risultare irraggiungibili. Per questo ogni suo tentativo è destinato al fallimento, per questo ogni suo slancio non può che terminare con una caduta. Ma è proprio questa la lezione di Hyperion, attraverso l’accettazione del fallimento, attraverso la consapevolezza del nostro essere caduchi, finiamo per scoprire davvero quello che siamo: esseri umani, innanzitutto, prima che dei, rivoluzionari o sognatori.
La ricerca di Hyperion è solitaria, avviene in luoghi remoti, lontani dalla frequentazione di altri esseri umani. Senza pace, senza respiro, in solitudine, la sua inchiesta riesce alla fine ad attraversare la parte più profonda della sua persona, a ricomporre i pezzi rimasti qui e lì, che sembravano non riuscire più ad aggregarsi.
Ma come nel canto del destino di Holderlin, la tregua non significa pace: accettare la caducità che ci è propria non vuol dire trovare riposo nella consapevolezza; significa allenarsi a cadere per potersi poi rialzare, per potere poi ricadere di nuovo.
(…)
Ma a noi non è dato
in alcun luogo posare
scompaiono, cadono
gli uomini addolorati
alla cieca,
di ora in ora,
come acqua gettata
di rupe in rupe
per anni,
nell’incerto,
giù.