Displace #1 La Rabbia Rossa
regia, spazio e luci Claudia Sorace
drammaturgia e suono Riccardo Fazi
assistenza tecnica Maria Elena Fusacchia, Luca Giovagnoli
vestiti di scena Fiamma Benvignati
foto di scena Luigi Angelucci
organizzazione Manuela Macaluso, Martina Merico, Maura Teofili
con Anna Basti, Chiara Caimmi, Valia La Rocca, Cristina Rocchetti
produzione Muta Imago 2010
coproduzione Focus on Art and Science in the Performing Arts
con il sostegno di Regione Lazio – Assessorato alla cultura, Spettacolo e Sport
in collaborazione con Inteatro Polverigi, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Centrale Preneste, Città di Ebla, Angelo Mai
Mi viene quasi da pensare che fosse meglio l’antica, insensata, purezza animale.
Sylvia Plath, Diari
Displace #1 La Rabbia Rossa è stata la prima manifestazione del più grande progetto Displace. È una performance di 38 minuti, la cui drammaturgia si sviluppa unicamente a partire dall’utilizzo dei corpi dei performer e della luce che agisce su di loro.
La Rabbia Rossa rappresenta il nostro tentativo di mettere in scena un sentire immediato, una reazione istintiva, irrazionale e primitiva di fronte a un mondo e al suo collasso; una reazione che chiede di accadere presto, prima che si bruci e consumi, che vuole essere restituita nella maniera più diretta e schietta possibile, senza costruzioni o abbellimenti.
Lo spazio è scuro, di dimensioni indefinite. Una figura si muove al suo interno. Dietro di essa, l’eco di altre come lei, che si fa sempre più forte col passare dei minuti. Il loro cammino, forzato e costretto da fasci di luce in continuo movimento. Confini, barriere, soglie: geometrie che disegnano strade e costringono a un andare coatto apparentemente senza senso. In questo spazio vuoto e desolato, dove restano solo il ferro e polvere, le figure sono circondate da loro stesse, dalle loro visioni, dall’eco dei suoni che i loro gesti producono: bloccate in un presente fatto di niente, tra un passato che non posseggono più e un futuro che non riescono nemmeno a immaginare. Poi, lentamente, una lotta, una resurrezione. Una guerra contro la luce e il suono, una rinascita dall’ oscurità e dall’ isolamento: buio e luce che si fanno muscoli e carne. Così da riappropriarsi del proprio corpo, di un volto che possa tornare a essere glorioso e pulsante, risorto, vivo.
C’è un libro bellissimo, si chiama La nube purpurea, lo ha scritto M. P. Shiel nel 1901. Racconta la storia dell’ultimo uomo sopravvissuto sulla terra dopo che un disastro ambientale ha eliminato completamente la razza umana. Vediamo quest’uomo spostarsi in continuazione all’interno di un mondo ormai vuoto, fatto di città vuote, di strade altrettanto deserte. Improvvisamente, circa a metà libro, quest’uomo fa qualcosa di completamente inatteso: inizia a distruggere tutto quello che incontra, tutte le tracce lasciate dalla sua razza e ad essa sopravvissute. Incendia tutte le città che incontra nel suo peregrinare, così da affermare ancora una volta il suo essere vivo e unico, in un mondo di silenzio e tragica solitudine.
Con questa performance volevamo indagare il sentimento che emerge dopo che si perde tutto quello che si possedeva.
Perché dentro di noi brucia una stella fredda e la memoria non è solamente un posto confortevole dove poter tornare.
E non siamo soltanto un fascio di ricordi passati e di sogni futuri.
Siamo un fascio di carne che ha bisogno di muoversi e urlare.
E il colore è quello della rabbia, del sole e del sangue, e il sudore è ricoperto di polvere.
La disposizione mentale è tutto.
Bisogna essere soli per creare mondi.
Bisogna essere soli per distruggerli.